Lavoro, boom di part-time nel terziario: i dati statistici

Pensato originariamente come leva per favorire l’inclusione lavorativa di giovani, donne, lavoratori in età matura e persone con difficoltà di accesso stabile all’occupazione, oggi il part-time non rappresenta più una modalità di lavoro marginale, ma un elemento strutturale del mercato del lavoro in tutta Europa, con una quota significativa sia in termini di posti di lavoro che di nuove assunzioni.
Nel corso del 2024 le persone occupate con un contratto a tempo parziale in Veneto sono state mediamente 415 mila, pari al 18,6% del totale degli occupati, di cui 340 mila donne e 76 mila uomini. Il divario di genere è però particolarmente elevato: l’incidenza del part-time è infatti pari al 6% tra gli uomini mentre arriva al 35% tra le donne, anche in virtù della crescita della richiesta di lavoro in settori a prevalente partecipazione femminile.
Nonostante la crescita registrata negli ultimi anni, l’incidenza del part-time in Italia e in Veneto è in linea con la media europea (19%), che varia significativamente tra i Paesi in base a normative nazionali, composizione del mercato del lavoro, peso di settori come commercio e servizi, politiche di welfare.
L’analisi approfondita dei dati SILV di Veneto Lavoro mette in evidenza come l’aumento della domanda di lavoro nel settore dei servizi degli ultimi anni, con il progressivo rafforzamento delle opportunità di impiego a tempo parziale, abbia favorito la crescita dell’occupazione, in particolare quella femminile.
Nel 2024 le assunzioni a tempo parziale sono state circa 288 mila (61% donne, 39% uomini), il 33% delle assunzioni totali, con una lieve crescita rispetto all’anno precedente (+2%) soprattutto per la componente maschile.
L’incremento del lavoro a tempo parziale è strettamente connesso alla terziarizzazione del sistema economico e alla crescente domanda di lavoro proveniente da alcuni ambiti del settore dei servizi, quali turismo, commercio al dettaglio, servizi alla persona e servizi di pulizia. Tale tipologia contrattuale risulta invece meno diffusa in agricoltura, nell’industria, eccetto alcuni ambiti del made in italy, e nelle attività del terziario collegate al settore industriale (commercio all’ingrosso, logistica e altri servizi a supporto delle imprese).
Il part-time è più frequente nei rapporti di lavoro a tempo determinato, spesso di breve durata, che nascono e si concludono senza variazioni di orario (da part-time a full-time o viceversa). Tali rapporti riguardano appunto soprattutto il terziario, hanno un peso maggiore tra le donne e nella maggior parte dei casi si concludono entro l’anno di attivazione.
Pare dunque plausibile ricondurre l’espansione del part-time alle crescenti opportunità di occupazione ad orario ridotto in alcuni ambiti lavorativi, in particolare laddove la riduzione oraria risulta funzionale all’organizzazione stessa del lavoro. Si tratta di una precisa domanda che, oltre ad intercettare specifiche esigenze di una fetta di lavoratori, spesso incontra anche la disponibilità di un bacino più ampio di persone alla ricerca di occupazione contribuendo ad alimentare, soprattutto in alcuni casi, forme di part-time involontario.
Il lavoro part-time, infatti, non rappresenta sempre una scelta volontaria da parte dei lavoratori e delle lavoratrici: nel 2023, in Italia, il 54% dei lavoratori part-time ha accettato involontariamente un impiego ad orario ridotto, mentre in Veneto, nel corso dell’ultimo decennio, tale quota è scesa ben al di sotto del 50% e risulta più elevata per gli uomini che per le donne. In questo consistono i rischi del part-time che, quando di tipo involontario, può trasformarsi da opportunità di flessibilità e conciliazione dei tempi di vita e lavoro a scelta obbligata per i lavoratori, costretti ad accettare un orario ridotto come alternativa alla disoccupazione totale.
L’impatto del part-time in termini di qualità del lavoro risulta quindi dipendere da come viene utilizzato e dal contesto in cui si inserisce. Da un lato, rappresenta un’opportunità per chi cerca maggiore flessibilità, consentendo una migliore gestione del tempo tra lavoro, famiglia, formazione o altri impegni personali, oltre ad aver contribuito all’incremento dell’occupazione femminile e alla partecipazione al mercato del lavoro di categorie che altrimenti ne sarebbero rimaste escluse. Dall’altro lato, però, può rivelarsi in alcuni casi una scelta obbligata e, in tal caso, significare minori opportunità di carriera, stipendi più bassi e un sistema pensionistico penalizzante.