Sono passati quindici anni da quei giorni di pioggia e paura che segnarono profondamente il Veneto.
Era l’autunno del 2010 quando, in poche ore, fiumi e torrenti ingrossati da precipitazioni eccezionali travolsero intere comunità.

Decine di piccoli comuni tra il vicentino, il veronese e il padovano si risvegliarono sott’acqua: case invase dal fango, famiglie isolate, strade e ponti distrutti.

In quelle ore drammatiche, oltre 4.000 persone furono costrette a lasciare le proprie abitazioni.
Le immagini dei vigili del fuoco, dei volontari e della Protezione Civile in azione fecero il giro d’Italia: uomini e donne con stivali e pale, catene umane per salvare anziani e bambini. Politici e amministratori con la divisa della protezione civile. Una ferita che costò centinaia di milioni di euro in danni, ma che mise in luce anche la straordinaria solidarietà dei veneti, ma anche la fragilità del territorio, in quello che fu il primo vero allarme di un cambiamento climatico che avrebbe caratterizzato le vite delle persone negli anni successivi.

Oggi, a quindici anni di distanza, molto è cambiato. Sono stati realizzati nuovi bacini di laminazione, argini rinforzati, piani di emergenza aggiornati. Eppure il ricordo resta vivo, anche per il ripetersi di altri allagamenti, meno gravi, pur sempre vettori di disagio e paura. Con il moltiplicarsi dei fenomeni estremi, la lezione di allora torna più attuale che mai: prevenire, tutelare il territorio, e non abbassare mai la guardia.