La burocrazia 'zavorra' di costi le imprese. Padova 11° nella classifica nazionale
Sono 80 i miliardi - fonte CGIA di Mestre - che le imprese italiane “bruciano” in carte e scartoffie (reali o digitali) per soddisfare la burocrazia. “Una follia - commenta Patrizio Bertin, presidente di Confcommercio Ascom Padova - che distrae risorse che, diversamente, avrebbero effetti positivi sulla collettività”. Giudizio netto nonostante Padova non sia proprio tra le realtà più negative, anzi.
Nella classifica dell’Indice della qualità delle Istituzioni Pubbliche, tra le 106 province italiane, Padova si piazza (ma visto che parliamo di dati del 2019 forse sarebbe meglio dire “si piazzava”) ad un onorevole 11° posto, 2 in meno rispetto alla rilevazione del 2009. Onorevole se si guarda al dato nazionale, un po’ meno se si guarda al Triveneto (Trento è in vetta e Trieste segue a ruota) e al Veneto visto che Treviso è terza, Venezia sesta e Vicenza nona. “Il dramma - continua Bertin - è che se allarghiamo lo sguardo all’Europa (area Euro), la nostra debolezza emerge in tutta la sua evidenza”.
Lasciamo perdere Paesi come l’Estonia, l’Irlanda, il Lussemburgo o la Lituania le cui imprese trovano “problematica” per percentuali variabili tra il 29% ed il 36%, la complessità delle procedure amministrative.
L’Italia, in questa classifica dei “peggio più peggio” ottiene un ben poco lusinghiero quarto posto (col 73% di imprese insoddisfatte) ed è magra consolazione vedere che il podio assegna alla Francia la medaglia d’oro con l’84%, alla Grecia argento con l’80% e alla Slovacchia il bronzo col 78%. “Non sorprende - aggiunge il presidente di Confcommercio Ascom Padova - che questa sia la classifica visto che i tempi medi per il rilascio dei permessi e delle autorizzazioni sono piuttosto consistenti. Lo sono anche da noi, figuriamoci a Vibo Valentia, che chiude la classifica nazionale o a Crotone che è un gradino più su”.
Si potrebbe dire che, nonostante la digitalizzazione abbia fatto passi da gigante, la brutta abitudine della nostra pubblica amministrazione di chiedere dati e documenti che le amministrazioni già possiedono è diventata una prassi consolidata. “Faccio un esempio: - spiega Bertin - Lo Statuto del Contribuente dice espressamente che non dovrebbero essere richiesti dati di cui si è già in possesso, salvo poi chiedere come prima cosa il codice fiscale che è il primo atto che la PA esplica nei confronti di una nascente impresa!”
Sembra quasi che la stessa PA si autoalimenti nella convinzione che più documentazione debba essere prodotta, più la sua funzione sia garantita. “Ma non dovrebbe essere così - sostiene ancora il presidente - e mi sembra che, in questo senso, poco possa incidere anche la politica. Non credo di sbagliare se ad ogni insediamento di governo, una delle parole chiave sia “semplificazione”. Salvo poi che la politica deve fare essa stessa i conti con i “burosauri” e lì le buone intenzioni svaniscono”.
Così alle imprese non resta che abbozzare e mettere nel conto del proprio bilancio non solo le tasse palesi, ma anche quelle occulte rappresentate dai costi burocratici che, per Padova, pratica più pratica meno, sono nell’ordine del miliardo e più.
Un’ultima annotazione: se la Provincia Autonoma di Trento in Italia la fa da padrona, in Europa è 158^ su 234 territori UE. Parafrasando si potrebbe dire: anche i ricchi piangono!