Femminicidio di Giada Zanola, sequestrati altri due cellulari tenuti nascosti

Emergono nuovi elementi nel corso delle indagini per il femminicidio di Giada Zanola, la mamma 33enne di Vigonza morta nella notte tra il 29 e il 30 maggio dopo essere stata lanciata dal cavalcavia sulla A4 ad un chilometro da casa dall'ex compagno, Andrea Favero.
L'uomo aveva altri due cellulari che teneva nascosti sul luogo di lavoro. Scoperti, sono stati sequestrati e ora sono in corso le verifiche da parte degli agenti della Squadra Mobile. A riferire il fatto è il ‘Gazzettino’.
Gli smartphone sono stati trovati dagli agenti nel corso dei sopralluoghi effettuati dalla Mobile nei posti frequentati per lavoro da Favero, ora in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Le risposte che si cercano sono alle domande: perchè aveva altri due cellulari? Chi contattava? Cosa cercava?
A complicare la situazione del 38enne autotrasportatore sono stati i risultati degli esami tossicologici disposti su di lui. Nessuna traccia di benzodiazepine nel corpo di Andrea Favero, mentre nel corso dell’autopsia sul corpo di Giada Zanola il calmante era stato trovato in quantità.
Le analisi erano scattate dopo che la polizia, nel corso della perquisizione all’interno della casa dove la coppia viveva, ancora posta sotto sequestro in via Prati a Vigonza, avevano trovato 5 boccette di Lorazepan. Favero si era giustificato spiegando che gli era stato prescritto dal medico in quanto nell’ultimo periodo viveva uno stato di ansia per la fine della relazione con la compagna. Ne era in possesso delle benzodiazepine dall’aprile scorso.
Giada aveva confessato ad un'amica la paura di essere drogata dal compagno. Le aveva confidato in più di qualche occasione di essere stata male perdendo addirittura conoscenza. La sera del delitto in un ultimo messaggio le aveva raccontato di sentirsi fiacca e di vederci doppio. Poi il silenzio.
Favero agli inquirenti aveva raccontato: “Ricordo che eravamo a casa. Poi abbiamo cominciato a litigare e Giada si è allontanata a piedi verso il cavalcavia che passa sopra l'autostrada. Io ho preso l'auto e l'ho seguita raggiungendola dopo pochi metri da casa e facendola salire per portarla a casa. Continuavamo a litigare, nel senso che lei mi urlava addosso come spesso ultimamente faceva dicendo che mi avrebbe tolto il bambino e non me lo avrebbe più fatto vedere”. Messo alle strette dagli agenti aveva confessato, ma all'arrivo del difensore aveva parlato di un flash: Giada sul parapetto del cavalcavia e poi il vuoto.
Favero era stato fermato il giorno dopo la morte di Giada, all’inizio fatta passare come un suicidio.