La data del funerale di Giulia sarà decisa dal papà. Confermata le esequie a Santa Giustina
Quando ormai sono emersi quasi tutti i dettagli dell’omicidio di Giulia Cecchettin per mano di Filippo Turetta, a quasi venti giorni dal delitto, e mancano soltanto gli accertamenti tecnici per precisare il quadro indiziario, resta il dolore di due famiglie, chiamate a fare i conti con quel che resta di questa tragedia.
Per i funerali di Giulia toccherà al padre, Gino, decidere la data, quasi sicuramente in un giorno della prossima settimana. Non sarà certo sabato prossimo (2 dicembre, ndr), perché si tratta di una data troppo a ridosso dello svolgimento dell’autopsia sul corpo della 22enne vittima, già programmato per venerdì primo dicembre all’Istituto di medicina legale di Padova. Dopo il nulla osta della magistratura per la tumulazione, è certo soltanto che le esequie verranno celebrate nella basilica di Santa Giustina, in Prato della Valle a Padova.
Ieri il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica (COSP) ha stabilito che spetta a papà Gino dire il quando. Un atto di estremo rispetto istituzionale, dopodiché in accordo con la Diocesi di Padova verrà programmata la cerimonia, che sarà celebrata dal vescovo mons. Claudio Cipolla.
I genitori di Turetta, Nicola ed Elisabetta, non ce l’hanno intanto fatta a incontrare il figlio, rinchiuso nella casa circondariale di Verona Montorio. Una decisione comunicata al legale, l’avvocato Giovanni Caruso, che martedì 28 novembre aveva ottenuto dalla Procura della repubblica l’autorizzazione a far entrare i due genitori nella struttura carceraria. La rinuncia è stata motivata con la necessità di ricorrere a un aiuto psicologico, sia per il giovane che per i due genitori. Non sono evidentemente ancora pronti per guardarsi faccia a faccia.
Caruso si è così recato autonomamente a Verona, per parlare ancora una volta con il suo assistito; è stata la quarta volta in cinque giorni. Stavolta nessuna dichiarazione, né all’arrivo né all’uscita, dopo oltre tre ore di colloquio La sensazione, legata anche a motivazioni di linea difensiva, è che a questo punto ci sia bisogno di far smorzare la tensione mediatica sulla vicenda.
Lo ha ribadito stamani ai cronisti anche il cappellano del carcere, padre Paolo Crivelli, il quale ha ricordato che “i processi si fanno nelle aule, e non sui giornali. Non credo che questo tipo di informazione – ha ammonito i cronisti – aiuti anche il popolo a crescere serenamente di fronte a questi drammi”.