Confapi: In Italia stipendi più bassi di 30 anni fa, tagliare cuneo fiscale prima di tutto
“Stipendi più alti subito”, ha chiesto il ministro del lavoro Orlando. “Imprenditori pagate di più”, ha aggiunto il ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Colao.
Il tema è indubbiamente all’ordine del giorno. Ma come viene letto dalle piccole e medie imprese del territorio? "So che da un rappresentante degli imprenditori non ci si aspetta che parli così, ma sono pienamente d’accordo su un punto: la questione stipendi esiste - risponde Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova -. Il problema sta a monte: in Italia scontiamo un costo del lavoro altissimo, per cui in tasca al lavoratore resta poco. Tutto dipende dalla tassazione eccessiva e mal organizzata che appesantisce il nostro intero sistema produttivo. A questo si assomma il fatto che, con i rincari di questi mesi, il salario diventa insufficiente per garantire un’esistenza dignitosa. Il punto è che occorre mettere mano pesantemente a tutto il sistema della tassazione sul lavoro ma soprattutto occorre adottare politiche per cui ogni premio sugli stipendi possa essere applicato senza tasse aggiuntive: un’azienda non può sostenere un costo di una e volta e mezzo lo stipendio di un dipendente. Noi imprenditori siamo disponibili ad aumentarli, ma ci dev’essere data la possibilità di farlo. Questo vale in particolare per le piccole e medie industrie, molto più radicate sul territorio e con un valore sociale maggiore rispetto alle grandi, che sono multinazionali e spesso e volentieri delocalizzano. La nostra è una realtà diversa: qui i titolari conoscono i dipendenti, con loro hanno un rapporto diretto. Ma per poterli pagare di più servono aumenti contrattuali decontribuiti e detassati, e si possono portare a 1.000 euro i bonus welfare. Tenendo ben presente che, con i salari bassi, non possono ripartire i consumi, che sono alla base di tutto il funzionamento dell’economia».
Confapi ha voluto fare chiarezza sul tema attraverso il suo centro studi Fabbrica Padova, mettendo in fila i dati a disposizione. Per gli stipendi parlano le statistiche elaborate dall’Osservatorio Job Pricing nel 2021, secondo le quali la retribuzione fissa media nazionale lorda si attesta a 29.222 euro, con un tasso di variazione rispetto al precedente dello 0%. È invece diminuita la Retribuzione Globale Annua (RGA) media nazionale, pari a 29.910 €, con un -2,3% rispetto all’anno 2019. Di fatto, è tornata quasi ai livelli del 2015. In questa graduatoria, Padova si situa al 25° posto tra le province in Italia, con una RGA media di 29.770 euro, in una classifica guidata da Milano con 35.329 euro e chiusa da Ragusa con 23.592 euro. Si nota che la crisi si è manifestata principalmente con un calo generalizzato delle parti variabili delle retribuzioni, coerentemente con l’impossibilità di una rinegoziazione della componente fissa al ribasso.
A queste statistiche occorre però aggiungerne altre, diffuse dall’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Numeri che attestano come Italia sia l’unico Paese dell’UE in cui, negli ultimi trent’anni, il salario medio dei lavoratori - calcolato in dollari a prezzi costanti, al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali ma includendo gli straordinari - è diminuito anziché aumentare. Tra il 1990 e il 2020, infatti, si è registrato un calo del salario medio annuale del 2,9%, scendendo da 38.900 dollari a 37.800. Ora, se è vero che ha poco senso raffrontare l’Italia ai paesi dell’ex blocco sovietico, in cui i salari medi erano molto bassi rispetto alle nazioni europee, il confronto risulta impietoso se si guarda alle economie dei competitors del Veneto e del Nord-Est in generale: in Germania e in Francia i salari medi hanno avuto nello stesso arco temporale un aumento rispettivamente del 33,7% e del 31,1%, nonostante partissero da livelli già alti. Oggi il salario medio annuale tedesco si attesta a 53,7 mila dollari, quello transalpino a 45,6 mila.
“Urgono politiche fiscali significative, che ridiano competitività al territorio, e politiche sociali che possano ridistribuire ricchezza e rilanciare i consumi. Dicendo che occorre investire nella competitività del sistema intendiamo che bisogna adottare politiche espansive mirate alla crescita - conclude il presidente Valerio -. In questo senso misure come il reddito di cittadinanza (sul tema Fabbrica Padova ha presentato uno studio disponibile a questo link) vanno nella direzione contraria a quanto si dovrebbe fare. Aiutare chi è in difficoltà è sacrosanto, ma non raccontiamoci la bugia per cui le persone che lo ricevono vengono formate e preparate per un ingresso nel mondo del lavoro: non è così. L’assistenzialismo non è un investimento ma un debito fine a se stesso che non risolverà nessun problema sociale, e che al contrario leva risorse alle politiche strategiche improcrastinabili per il nostro Nord-Est e la nazione tutta. I soldi impiegati per il reddito di cittadinanza potevano ad esempio essere investiti semplificando i meccanismi di assunzione e detassando le nuove assunzioni: così si crea futuro”.