Cronaca di Marzia Pretolani , 29/09/2021 10:59

Samira soffocata in casa dal marito: le motivazioni dell'ergastolo a Barbri VIDEO

“Il mancato ritrovamento del cadavere di Samira El Attar non impedisce l’accertamento del fatto come omicidio volontario e neppure l’individuazione del colpevole”: il clou delle 86 pagine di motivazioni della sentenza con cui la Corte D’Assise di Rovigo ha condannato lo scorso giugno il 43enne Mohamed Barbri all’ergastolo per l’omicidio della moglie e l’occultamento del suo cadavere.

A oramai 2 anni dalla sparizione della mamma marocchina di Stanghella, il caso può dirsi chiuso senza dubbi: la 43enne è morta, uccisa dal marito, probabilmente soffocata in casa, ( visto che tracce biologiche non sono state trovate) la stessa mattina della sua all’epoca presunta scomparsa, tra le 10 e mezzogiorno. Questa la verità, nonostante il castello di bugie innalzato dal marito che disse di non averla più vista tornare a casa quella mattina, dopo che aveva accompagnato con la sua bicicletta la figlioletta di 4 anni all’asilo.

Questa la prima contraddizione: Samira si scoprì subito che a casa ci tornò, lo raccontò anche ai nostri microfoni una vicina che abita poche case più in là che si fermò a parlare con lei e le regalò una borsa di vestiti per la figlioletta. Borsa infatti ritrovata nella casa di via Statale dagli investigatori insieme alla giacca indossata quella mattina dalla donna.

Dalla sua casa la donna non ne uscì più. Sia il cellulare di Samira che quello del marito Mohamed quella mattina rimasero agganciati al ripetitore competente su quella abitazione. Di più: Mohamed è stato visto in casa, e non al lavoro nei campi come dichiarato, anche dalla vicina del piano superiore che lo vide in seguito andare a prendere la piccola all’asilo.

La tesi dello strangolamento la più probabile, spiega la Corte: numerosi i rilievi scientifici addirittura dei Ris all’epoca non hanno evidenziato la presenza di liquidi biologici sospetti. 

E diversi altri tasselli del puzzle a puntare senza dubbio sulla colpevolezza del marito: dalla denuncia fatta soltanto il giorno dopo, alla gita notturna lungo il fiume Gorzone, dai successivi poco credibili ritrovamenti di oggetti che appartenevano a Samira (una scarpa e una catenina) in luoghi già setacciati in lungo e in largo dagli inquirenti, fino alla fuga di Barbri in Spagna, dove venne arrestato a gennaio, intercettato per una telefonata fatta al cugino con il cellulare prestato da un conoscente. Voleva scappare in Marocco. La pubblica accusa, in quello che è stato un processo indiziario, ha puntato sul movente gelosia e orgoglio ferito di un uomo che cercava invano di controllare la moglie, che aveva solo qualche saltuario lavoro di bracciante agricolo dinanzi a una moglie in gamba, determinata, grande lavoratrice nelle case e come badante. Una moglie che l’avrebbe anche colpito con uno schiaffo in piazza. In pubblico. Forse l’ultima goccia, proprio un mese prima della sparizione.

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