la Redazione

Allarme Ance: "1 maggio fra non molto si farà senza lavoratori"

Alcuni scenari previsionali dell’occupazione e del lavoro disegnano un futuro, praticamente, senza lavoratori. Questione che riguarda anche il Veneto e che secondo elaborazioni del Centro studi di Ance Veneto, su dati Istat, Unioncamere e Regione Veneto, si prevede che nel quadriennio 2024-2028 ci sarà un fabbisogno occupazionale di circa 302mila persone, per il 90,2% determinati delle necessità di sostituire coloro che andranno in pensione. Tra questi 117mila, il 38,8%, dovrebbero essere dirigenti, specialisti e tecnici. Altri 93mila lavoratori, il 30,8%, dovrebbero essere impiegati e professionisti e commerciali dei servizi. Poi ancora circa 65mila lavoratori, operai specializzati, ovvero il 21,4% e il resto di professioni non qualificate. Serviranno al Veneto una quantità di lavoratori, più della metà (52,2%), con un buon livello di istruzione, almeno di formazione secondaria di secondo grado: vale a dire un diploma liceale, tecnico-professionale o una qualifica di formazione professionale. Cosa che rende alquanto difficile pensare che l’immigrazione possa sopperire a questa prospettiva di crollo della disponibilità di “manodopera di sostituzione” di chi va in pensione.

Per il settore delle costruzioni e infrastrutture, in Veneto, questo si traduce in un fabbisogno di manodopera di 9.600 nuove unità di lavoro per il prossimo quadriennio. Insomma servirebbe immettere nel settore – per mantenere almeno lo status quo – 2.500 nuovi assunti ogni anno fino al 2028 in aggiunta ai saldi occupazionali anche quelli positivi. 
Quanto all’andamento delle dinamiche di variazioni percentuali del valore aggiunto nelle costruzioni in Veneto sono in calo. Nell’ultimo decennio abbiamo registrato un picco nel 2012 (- 12,5%) per poi risalire fino a un +16,5% nel 2021 e ora con previsioni in discesa per il 2024 che ci riportano a circa -3%. Brutte prospettive anche negli investimenti in costruzioni, in ambito nazionale: per il 2024 le previsioni sono in discesa (-7,4%), con la fine della risalita e un’analogia di quanto è già accaduto dopo la crisi dal 2008 (si veda tabella allegata).

“I dati di mercato sono sensibili agli andamenti generali– commenta il presidente di Ance Veneto, Alessandro Gerotto – e le prospettive indubbiamente stanno volgendo al peggio. Ma a questi si aggiungono anche dati ben più pesanti come quelli demografici che non lasciano nessuna speranza: il Veneto, nei prossimi dieci anni, perderà circa 220.000 persone in età lavorativa. Gli attivi complessivi scenderanno sotto i 3 milioni. Sarà sempre più difficile trovare manodopera e rischiamo di dover chiudere le imprese, perché spesso ci si dimentica che le imprese non sono solo mura di cemento o mattoni, ma sono fatte di persone. Non illudiamoci che qualche immigrato in più possa cambiare i giochi; qui servono politiche di ampio respiro: visioni prospettiche di programmazione dei lavori pubblici, di rigenerazione urbana, di innovazione e produttività e soprattutto di qualità della vita perché i giovani possano riprendere fiducia nel futuro. Non è facile, ma non c’è altra strada. Il resto sono chiacchiere da cortile. Rischiamo di dover festeggiare le prossime feste dei lavoratori senza i lavoratori.”

“Nel prossimo decennio, in Veneto, Rovigo avrà la perdita più elevata: del 12,69% di popolazione lavorativa, seguita da Belluno 9,56%, Venezia 8,65%, Vicenza 8,01, Treviso% 7,08%, Padova 6,74% e Verona 3,75%. Praticamente si verificherà una progressiva e incessante mancanza di manodopera, ma anche un drammatico spopolamento nell’area montana e polesana. Avverrà, perché è già scritto nei dati che vediamo oggi, una “concentrazione” abitativa e di attività nel Veneto pedemontano che continuerà a rappresentare il cuore della regione con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta. Una popolazione particolarmente invecchiata, tra l’altro, pone problemi di welfare e di tenuta del sistema sanitario e allo stesso tempo tende a “vivere di rendite” (pensioni, patrimonio immobiliare, poca innovazione) perché gestisce quanto accumulato durante la vita lavorativa. Pertanto si rischia una società “immobile” e poco proiettata verso l’innovazione. Solo per fare un esempio: nella regione stimiamo interventi per le cosiddette “case green” su oltre 800.000 edifici, per una spesa media tra 50 e 80.000 euro. Il ché non soltanto significa una spesa miliardaria per le famiglie (prevalentemente anziane) ma anche la necessità di poter disporre di migliaia di personale addetto, a vario titolo, dall’ingegnere progettista al manovale apprendista, che non ci sarà e non ci sarà soprattutto per le fasce specializzate. Un tempo i grandi intellettuali si chiedevano “Che fare?” E’ la domanda che mi sento di proporre a tutti coloro che ci impongono le svolte green e le grandi rivoluzioni a parole. Per ora, fatti quattro conti a spanne: mancano i soldi e soprattutto, manca la manodopera.”